Bartending Locali e Barmen

Il sogno americano

intervista a Massimo Stronati

Si sa, spesso diamo un occhiata ai bartender italiani che si distinguono all’estero. Un pò per capire e far capire ai più giovani quali sono le strade da seguire, un pò per sottolineare la bravura degli italiani che si occupano di ristorazione nel mondo.

Questa volta tocca ad un barman molto conosciuto, anche grazie alla sua visibilità sui social: Massimo Stronati

Qual’è stato il tuo inizio? Raccontaci i tuoi primi passi e le tue prime esperienze lavorative

Ho iniziato a lavorare da ragazzino nel bar di famiglia , facevo caffè e davo una mano dove serviva…diciamo che ero il tuttofare, dopodiché sono passato, negli anni del liceo, alle discoteche al catering e ovunque ci fosse la possibilità di lavorare, sopratutto come si diceva una volta di “rubare il mestiere”. Mio padre é stato il mio primo vero maestro, molto severo e molto esigente è stato quello che mia ha fatto capire le fondamenta del mestiere da un lato e la vita in generale dall’altro, sopra tutto l’impegno .

Qual’ stata la la scintilla che ti ha fatto capire che quella del bar sarebbe stata la tua strada? Il merito va a qualche “maestro” in particolare?

Diciamo che essendo figlio d’arte tutti un po’ si aspettavano che io intraprendessi il business di famiglia , ma io sognavo di fare tutt’altro. Infatti oltre che essermi diplomato perito aeronautico ho persino conseguito il brevetto di volo , poi le cose sono andate diversamente: mi sono iscritto all’università così quasi per caso e siccome ho sempre lavorato al bar, dopo un po’ mi sono reso conto che mi risultava facile, era nelle mie corde e allora un po’ dopo aver visto Cocktail al cinema mi sono detto perché no? Ragazze, gloria divertimento e magari anche due soldi e così sono passati quasi trent’anni in cui ho speso la maggior parte del mio tempo dietro al bancone mio o di qualcun altro in Italia o in Europa , Russia o Stati Uniti. Ho avuto tanti maestri ed esempi, la fila é lunga soprattutto a livello di stima e rispetto. Ne cito solo uno qui che è Stanislav Vadrna non credo abbia bisogno di presentazioni diciamo che da quando ci siamo conosciuti ho cambiato il mio approccio agli ospiti all’unicità dell’incontro e al servizio inteso non solo come show off delle mie skills ma sopratutto al fatto che gli ospiti sono il centro di tutto e quindi il nostro “servire” o essere “al servizio” deve rifarsi a concetti come bellezza, esperienza, insomma qualcosa di estremamente unico ben fatto con naturalezza

Come hai deciso di scegliere il paese in cui lavori?

Lavoro negli Stati Uniti perché sono stati bravi a farmi la proposta o meglio sono stati bravi ad insistere a 43 anni con un progetto cominciato da poco il Morgante Cocktails and Soul di Milano , non mi sembrava troppo comodo chiudere casa, licenziarmi e trasferirmi dall’altra parte del mondo ma alla fine mi sono detto: é l’ultima chance di questo tipo a livello anagrafico e soprattutto la curiosità di vedere se ancora avevo la stoffa e la motivazione per fare una cosa del genere.

Hai avuto precedenti esperienze all’estero?

Si ho lavorato in UK da ragazzo , ma direi che le esperienze più significative all’estero sono state la moltitudine di eventi e guest bartending degli ultimi otto anni un po’ ovunque. Due cose che ricordo con piacere : le mie esperienze in Russia e la partecipazione per qualche mese del bar Gocce a Parigi con Oscar Quagliarini, breve ma intensa.

La lingua o le lingue come le hai apprese?

Ho iniziato a studiare inglese alle elementari e un po’ di francese alle medie, ho sempre prediletto l’inglese e sono da sempre un lettore incallito, ho sempre amato vedere i film in lingua originale. Da quando sono negli USA direi che avrei dovuto impegnare più tempo nello spagnolo visto che credo sia la lingua N.1 nel l’hospitality.

Cosa consiglieresti ad un ragazzo che oggi comincia questo lavoro?

Scegliere dei bravi maestri, adattarsi non pretendere dal primo giorno, viaggiare andare a vedere gli altri lavorare, visitate le distillerie , studiare e insomma investire su se stessi ma sopratutto passare tanto tempo al bar nessuno ti può insegnare teoricamente quello che avviene praticamente ogni giorno dietro al bancone in mezzo agli ospiti.

Hai un libro ( o più di uno) che ti sentiresti di consigliare?

Joy of mixology di Gary Regan, American Bar di Charles Schumann e Imbibe di David Wondrich…ma qui faccio un po’ fatica amo leggere e quindi io ne ho centinaia però diciamo che questi tre sopratutto all’inizio “spingono”

Quali sono le differenze tra l’Italia ed il paese in cui vivi (lavorativamente parlando)?

Tutto , il bianco e il nero il giorno e la notte . La paga, le regole in generale direi che nella media gli europei sono più stilosi e preparati qui il livello é eterogeneo perché ci sono moltitudini di situazioni lavorative diverse. Con milioni di addetti puoi trovare il top players ma anche quello impreparato, però qui il lavoro é preso sul serio: si lavora tanto, poche vacanze e spesso sempre reperibili sopratutto se sei un manager sono c***i tuoi, é un po’ come se fossi il titolare del bar, trainings , tutte le operazioni, liste, stocks e inventario, standard di servizio insomma ogni cosa, ma poi vieni pagato come un ingegnere in Italia e dici ok va bene. No, scherzo direi che qui come in Italia la stragrande maggioranza di chi lavora nel l’hospitality lo fa per passione

Cosa è cambiato nel bartending dai tuoi inizi?

Tutto. In bene e in male. Nel bene diciamo che la riscoperta dei cocktail classici e fatti bene di quello che viene detto craft of the cocktail da Dale Degroff a Sasha Petraske a fine anni ‘90 inizio 2000 ci ha portato ad essere dove siamo: delle celebrities sulla falsariga degli chefs che prima di noi hanno ricevuto attenzione. Il male lo vedo un po’ nei bloggers, in tutte quelle persone finte che cercano di lucrare dal nostro settore senza competenze se non qualche follower sui social media . Come si dice a volte, si stava meglio quando si stava peggio. Fare 500 Cuba Libre all’aperitivo a Milano a metà anni ‘90, tutti felici sorridenti a parlarsi l’un l’altro senza fare foto a bicchieri o piatti del buffet ma a godersi la vita sul serio.. Cogliendo gli attimi.

Quali sono le tendenze e i cocktail che vanno per la maggiore dove lavori?

La California ha molto a cuore il concetto di farm to table (to cup) tutto fresco, stagionale se possibile organico dalle fattorie delle varie zone un po’ come fanno gli chefs. In generale le tendenze negli USA sono le stesse del resto del mondo, che è ormai globalizzato. Se dovessi parlare di spirits direi che vanno molto la vodka, gli spiriti di agave ed anche il whiskey “nostrano” piuttosto che lo scotch.

Nei cocktail bars la ricerca del dettaglio: dal ghiaccio al bicchiere fino magari al distillato della piccola distilleria indipendente , però come dicevo precedentemente il topic diventa diverso nella specifica location dove uno si trova. Voglio solo menzionare il fatto che negli Stati Uniti ancora molte persone amano farsi qualche drink prima di cena, sia a casa che al ristorante e quindi il mercato degli spirits funziona ancora a tutto regime. Tanto per dire la prima craft distillery si trova in California, ad Alameda, si chiama St. George ed hanno iniziato negli anni ‘80. La menziono anche per fare capire che dato che gli USA sono uno stato federale, poi ogni stato ha regole e leggi diverse, così loro hanno iniziato qui perché partendo dai distillati di uva, essendo considerata frutta le regole fin da subito sono state più semplici da seguire.

Pensi di fermartinegli Stati Uniti o hai intenzione di muoverti ancora?

Non ho ancora deciso, credo resterò ancora in USA per un po’. Sto per iniziare un nuovo progetto interessante qui, si chiama Ettan e si trova a Palo Alto a mezz’ora da San Francisco nella Silicon Valley e l’idea é quella di aprirne altri. Forse, dato che mi son fatto vecchio, il ruolo di beverage director non mi dispiacerebbe…ma ancora…nulla é deciso

Torneresti a lavorare in Italia?

Direi di sì, é tra i miei desideri, ma tra qualche anno, quando potrò finalmente appendere gli shakers al chiodo e dedicarmi ad altro. Ma spero di farlo con cognizione e competenza, questo é il motivo per cui continuo a studiare. Lo scorso inverno ho partecipato al Bar 5 a NYC, ho fatto blind tasting di 230 spirits in 5 giorni. Altro che foto su Instagram

Perché amo l’Italia , perché mi manca la mia famiglia e perché sto parlando solo o quasi in inglese tranne che con mia moglie, in una sorta di mix, è strano, tanto che quando torno in Italia in vacanza sembro dislessico: faccio confusione. Non ultimo vorrei che mia figlia crescesse nel belpaese, che con i suoi tanti difetti resta il paese più bello del mondo! Oh la California é figa, uguale NYC e tanti altri posti , ma sono un altra cosa. L’Italia é il posto del cuore!

Il cocktail di Massimo:

Pineapple Tommy’s Margarita:

2 oz. Tapatio Blanco tequila roasted pineapple infused

3/4 fresh lime juice

1/2 oz. agave syrup chili flakes infused

3 basil leaves

Shake and strain in a double old fashioned glass with a big cristal clear cube garnish a dried pineapple wedge and 1 basil leave

cybartender

Bartender del casino di Monte.Carlo, autore di alcune pubblicazioni, collaboratore di testate girnalistiche e aziende beverage. Webmaster del sito www.thecybartender.com , on line dal  1997

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